PENALE
NOV22
Sequestro preventivo e proporzionalità

Sequestro Preventivo e Principio di Proporzionalità in Ambito Penale

Commento alla sentenza Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, 1 ottobre 2024, n. 2836 (dep. 23 gennaio 2025)


1. Il fatto storico e la misura cautelare reale disposta

Il provvedimento in commento è stato emesso nell'ambito di un procedimento penale pendente per i reati di truffa, aggravata dal conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640 bis c.p., e di reimpiego di denaro, di beni e di utilità di provenienza illecita ex art. 648 ter c.p. nonché per l'illecito amministrativo dipendente dal reato ex art. 25 octies e 24 ter D.Lgs. 231/01.

Nello specifico, si contestava al legale rappresentante di una società agricola semplice (la "Società") di aver acquistato e utilizzato nella propria società dei titoli ritenuti "tossici", in quanto consistenti nel prodotto di alcune truffe, perpetrate ai danni dell'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA).

Secondo la ricostruzione accusatoria alcuni imprenditori agricoli, attestando falsamente la conduzione di fondi presi in affitto da terzi o coperti da contratti ormai scaduti e non rinnovati, avevano ottenuto indebitamente da parte dell'Agenzia indotta in errore contributi pubblici. Questi consistevano nei c.d. "titoli PAC", ovvero titoli rappresentativi del diritto a ricevere pagamenti diretti in base alla Politica Agricola comune dell'UE. L'acquisto e l'utilizzo di 94 di questi titoli da parte del legale rappresentante della Società agricola avrebbe integrato il reimpiego di beni e denaro di provenienza illecita, configurando il reato di cui all'art. 648 ter c.p.

Nel corso delle indagini preliminari, su richiesta del Pubblico Ministero, il Giudice per le Indagini Preliminari disponeva nei confronti del legale rappresentante della Società, la misura cautelare interdittiva ex art. 290 c.p.p. del divieto di esercitare attività imprenditoriale. Diversamente rigettava la misura cautelare del sequestro preventivo richiesta nei confronti della Società, ritenendo la stessa non operante e quindi insussistente il periculum in mora.

Al contrario, il Tribunale di Messina, a seguito dell'appello del Pubblico Ministero, applicava "il sequestro preventivo impeditivo della società agricola, nonché dei conti correnti ad essa intestati, dei beni aziendali, delle quote di partecipazione e di ogni altra componente patrimoniale ad essa riconducibile". Nello specifico, rispetto al periculum in mora il Tribunale rilevava come la Società fosse "uno strumento diretto al reimpiego dei titoli 'tossici' conseguiti attraverso la consumazione dei plurimi reati di truffa" ovvero "un'impresa-schermo, finalizzata a consentire il 'ricambio' dei titoli derivanti dalle truffe commesse". Ciò si sarebbe realizzato "anche negli anni 2022-2024... attraverso l'uso dei titoli di provenienza illecita, operazioni finalizzate all'acquisto di fondi rustici o all'affitto di terreni prodromiche a richiedere ulteriori contributi".

Ebbene, la Corte di Cassazione, accoglieva il ricorso avverso tale provvedimento presentato dalla Società indagata quale ente ex D.Lgs. 231/2001, annullando l'ordinanza del Tribunale di Messina con rinvio ad altra Sezione per nuova analisi. L'accoglimento era dovuto sostanzialmente alla ritenuta fondatezza del motivo relativo alla violazione del principio di proporzionalità "non essendo stato spiegato perché sarebbe indispensabile l'imposizione del vincolo su tutti i beni della società".

2. Il sequestro preventivo

Nel caso di specie, la Società unitamente ai conti correnti ad essa intestati, ai beni aziendali, alle quote di partecipazione e ad ogni altra componente patrimoniale ad essa riconducibile è stata sottoposta a sequestro preventivo in quanto ritenuta "bene strumentale alla realizzazione del reato previsto dall'art. 648 ter c.p., contestato in via provvisoria al legale rappresentante della società ricorrente".

Il sequestro preventivo, disciplinato all'art. 321 c.p.p., consiste in una misura cautelare reale che impone un vincolo di indisponibilità su una cosa mobile, immobile o immateriale.

Il primo comma dell'art. 321 c.p.p. disciplina il sequestro preventivo c.d. impeditivo stabilendo che "quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato". La finalità del sequestro impeditivo è di prevenire ulteriori illeciti.

Il secondo comma della disposizione in commento disciplina invece il sequestro preventivo ai fini della confisca, stabilendo che lo stesso possa avere ad oggetto "le cose di cui è consentita la confisca", che è il provvedimento ablativo definitivo che viene disposto con sentenza. La finalità del sequestro preventivo è di garantire l'efficacia della confisca.

Diverse sono le disposizioni che prevedono tale seconda tipologia di confisca. Tra queste, per quanto qui d'interesse, l'art. 648 quater c.p., secondo cui "Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti... per uno dei delitti previsti dagli articoli 648 bis, 648 ter e 648 ter 1, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il prodotto o il profitto, salvo che appartengano a persone estranee al reato". Al cui secondo comma è prevista anche la possibilità di procedere alla confisca per equivalente "delle somme di denaro, dei beni o delle altre utilità delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona, per un valore equivalente al prodotto, profitto o prezzo del reato".

Trattandosi di un provvedimento di natura ablativa e quindi potenzialmente afflittiva, per poter disporre il sequestro preventivo devono sussistere gli elementi tipici di ogni misura cautelare: il fumus commissi delicti e il periculum in mora.

2.1. Fumus commissi delicti

Esso coincide con "l'astratta possibilità di sussumere il fatto prospettato in una determinata ipotesi di reato". Non è richiesta la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e non rileva la corretta qualificazione giuridica dei fatti. Ciò però comporta un pregnante obbligo motivazionale in capo al Giudice o autorità giudiziaria preposta all'applicazione del vincolo che deve, nell'accertamento della sussistenza del detto fumus, valutare se gli elementi di fatto, indicati dall'accusa e risultanti dagli atti processuali, consentano di inquadrare l'ipotesi formulata in una tipologia di rilevanza penale sulla base di prove ragionevolmente fondate sulla connessione tra ipotesi di reato commesso e profitto da esso derivante.

2.2. Periculum in mora

Esso è determinato con precisione all'art. 321 c.p.p. laddove stabilisce che, affinché possa essere disposto validamente il vincolo, deve sussistere il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di altri reati. Occorre precisare che nel caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, l'esigenza che giustifica il vincolo risiede nella necessità di preservare il bene finché non interverrà l'ablazione definitiva, piuttosto che nell'evitare il pericolo di reiterazione. In ogni caso, le esigenze cautelari devono presentare i caratteri della concretezza.

2.3. Cose pertinenti al reato

Rispetto alle cose sequestrabili, l'art. 321, comma 1 c.p.p. stabilisce che oggetto del sequestro preventivo sono "le cose pertinenti al reato". Si tratta di una formula legislativa ampia con la quale si è voluto lasciare all'interpretazione giurisprudenziale l'elaborazione di questo concetto. Secondo la prevalente interpretazione, la nozione di "cose pertinenti al reato" assumerebbe una connotazione di natura sostanziale, esprimendo il collegamento del bene da sottoporre a cautela con il reato e/o le conseguenze che si intendono prevenire. È stato così precisato, che la cosa pertinente al reato è quindi, non soltanto, quella servita a commettere il reato o che ne costituisce il prezzo, il profitto o il prodotto, ma anche la cosa strutturalmente funzionale alla possibile reiterazione dell'attività criminosa, o che rappresenti un mezzo indispensabile per l'attuazione o la protrazione della condotta criminosa.

Alla luce della normativa riportata e dell'interpretazione giurisprudenziale delle citate disposizioni, è evidente come il sequestro preventivo possa avere inevitabilmente effetti devastanti e irrimediabili sul patrimonio; a maggior ragione se ad essere destinataria del provvedimento/del vincolo è un'impresa.

È chiaro infatti che si tratta di un provvedimento di natura anticipatoria che comporta l'apposizione di un vincolo di indisponibilità, nel corso delle indagini preliminari, quindi in assenza di una condanna ancorché non definitiva, e su beni eterogeni purché riconducibili all'attività asseritamente delittuosa. Di talché si impone, se non altro, al Giudice di spiegare le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio, dando conto nella motivazione di sufficienti elementi di plausibile indicazione del periculum in mora.

3. Il principio di proporzionalità nelle misure cautelari reali

L'applicazione alle misure cautelari reali del principio di proporzionalità ha origine in ambito sovranazionale ove è emersa la necessità di ricercare il giusto equilibrio tra la tutela dell'interesse pubblico e dei diritti individuali, tra i quali la libera iniziativa economica e la proprietà privata.

Il principio di proporzionalità è stato infatti costantemente richiamato dalla giurisprudenza della Corte EDU (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo) nella valutazione delle ingerenze rispetto al diritto di proprietà tutelato dall'art. 1, Prot. 1, CEDU. Ciò in quanto il bilanciamento tra i diversi interessi in gioco non può dirsi soddisfatto se la persona interessata ha subito un sacrificio "eccessivo" nel suo diritto di proprietà. Di conseguenza, la Corte europea, negli ultimi anni, ha prestato grande attenzione ai requisiti sostanziali e procedurali del sequestro e della confisca, ritenendo che tali misure, "quand'anche previste dalla legge e giustificate da un fine legittimo, possano comunque risultare eccessive, e quindi in violazione della CEDU, ove manchi il necessario bilanciamento tra scopo perseguito e sacrificio imposto".

Sul fronte interno, occorre anzitutto rilevare che nelle norme processuali relative alle misure cautelati reali, non vi è alcun specifico richiamo ai principi di proporzionalità, (ma invero neppure a quelli di adeguatezza e gradualità) che devono invece orientare il giudice nella scelta dei criteri da utilizzare per l'applicazione. Sennonché la delicatezza della materia e l'importanza degli interessi in gioco ha spinto la giurisprudenza (e la dottrina) ad estendere anche ai sequestri i principi previsti nell'affine materia cautelare personale. In particolare dell'art. 275 c.p.p., in tema di misure cautelari personali che ha sancito il principio per cui ogni limitazione della libertà personale deve essere proporzionata all'entità del fatto ed alla sanzione che sia stata o si ritiene debba essere irrogata.

E così anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione in più occasioni hanno affermato che "ogni misura cautelare, per dirsi proporzionata all'obiettivo da perseguire, dovrebbe richiedere che ogni interferenza con il pacifico godimento dei beni trovi un giusto equilibrio tra i divergenti interessi in gioco". Ed è stato altresì affermato che "i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall'art. 275 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, sono applicabili anche al sequestro preventivo ed impongono al giudice di motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso una cautela alternativa meno invasiva, al fine di evitare un'esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica privata".

La proporzionalità comporta quindi correttamente che non si possa applicare una misura ablativa (o applicarla con determinate modalità) solo per soddisfare le esigenze cautelari sopra dette, ma occorre che ciò non sia eccessivamente gravoso per altri diritti (costituzionalmente) garantiti (come appunto il diritto all'iniziativa economica privata art. 42 Cost.).

Nell'ambito pratico, il controllo sulla proporzionalità si articola in modo diverso a seconda che si tratti di un sequestro impeditivo o di un sequestro finalizzato alla confisca. Nel sequestro impeditivo il giudice deve verificare se la misura sia necessaria per evitare che la libera disponibilità del bene possa agevolare la reiterazione del reato o la commissione di altri illeciti, oppure se sussista una situazione di concreto pericolo per beni giuridici tutelati dall'ordinamento. Nel secondo caso (sequestro finalizzato alla confisca) il controllo riguarda l'esistenza del nesso di pertinenzialità tra il bene e il reato, nonché l'effettiva strumentalità del vincolo rispetto al successivo provvedimento ablativo.

In entrambe le ipotesi, tuttavia, la misura non può essere applicata in modo automatico, ma richiede una specifica valutazione della proporzione tra il sacrificio imposto al singolo e l'interesse pubblico perseguito. L'esigenza di un simile controllo comporta che la violazione del principio di proporzionalità determina un vulnus alla stessa legittimità costituzionale della misura a cui deve conseguire inevitabilmente la revoca.

A ciò consegue la necessità di una motivazione rigorosa del giudice, che dia conto dell'attualità e concretezza del pericolo, nonché della idoneità della misura a fronteggiarlo. Ma, soprattutto, in termini concreti, deve essere vagliata e motivata l'adeguatezza della misura richiesta e disposta: il giudice deve valutare se esistano alternative meno afflittive che consentano comunque di soddisfare le esigenze cautelari. In questo senso, il principio di proporzionalità vincola l'autorità giudiziaria a preferire ove possibile forme di intervento meno invasive, specie quando l'ablazione comporta l'incisione di diritti fondamentali.

4. Il vincolo sui beni dell'impresa

Secondo il consolidato orientamento sopra richiamato della giurisprudenza e della dottrina, quando la misura cautelare reale incide su beni strumentali all'attività d'impresa, il giudice deve necessariamente considerare le conseguenze che il vincolo può determinare sulla continuità aziendale e sulla occupazione. In termini concreti, questi principi si traducono nella necessità non solo di non disporre vincoli su di un ammontare maggiore rispetto a quanto sequestrabile ma anche di valutare la sussistenza di modalità per soddisfare le esigenze cautelari, che permettano all'impresa di continuare nella propria regolare attività.

Si tratta tuttavia di principi che non sempre trovano applicazione nella prassi, laddove al contrario spesso prevale l'intento punitivo anticipatorio, soprattutto se il sequestro è finalizzato alla confisca e vi è quindi il pericolo di dispersione del bene.

Fortunatamente, con recenti arresti la Corte di Cassazione ha preso posizione nella tutela dell'attività di impresa, riconoscendo in termini netti la possibilità di una revoca parziale del sequestro laddove necessario per far fronte a crisi di liquidità e a crediti scaduti. Così è stato affermato (in tema di responsabilità degli enti) che "in ossequio al principio di proporzionalità della misura cautelare, (n.d.r. il giudice) può autorizzare il dissequestro parziale delle somme sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per consentire all'ente di pagare, in forme 'controllate', le imposte dovute sulle medesime quale profitto di attività illecite, quando l'entità del vincolo reale disposto, pur legittimamente determinato in misura corrispondente al prezzo o al profitto del reato, rischi di determinare, anche in ragione dell'incidenza dell'obbligo tributario, già prima della definizione del processo, la cessazione definitiva dell'esercizio dell'attività dell'ente".

Principi ribaditi più di recente laddove si è affermato che "Con riferimento al sequestro preventivo (n.d.r. disposto nei confronti di una società), il canone di proporzionalità impone al giudice di modulare il vincolo in modo che lo stesso, pur conforme agli scopi previsti dal legislatore, non determini un'esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica dell'ente attinto dal vincolo reale, eccedendo quanto strettamente necessario rispetto al fine perseguito. La legittima finalità di garantire l'effettività della decisione assunta all'esito del giudizio di merito non deve, infatti, eccedere quanto strettamente necessario rispetto al fine perseguito e deve, dunque, essere realizzata in forme che si rivelino adeguate alla tutela di altri diritti di rilievo costituzionale meritevoli di protezione e il cui esercizio non pregiudichi le esigenze cautelari perseguite". È infatti evidente che solo in questo modo si soddisfano le esigenze cautelari senza pregiudicare altri diritti costituzionalmente garantiti.

In conformità a tale orientamento non sono mancate alcune pronunce di merito che hanno graduato e modulato il contenuto della misura cautelare attraverso strumenti come il sequestro parziale, l'affidamento in custodia con facoltà d'uso, oppure l'esclusione di beni non strettamente collegati al reato. Ed è evidente come tali decisioni siano condivisibili, stante anche la lunga tempistica – seppur ridotta in materia cautelare - prevista per accedere al giudice di legittimità ed ottenere un provvedimento che revochi la misura ablativa disposta.

5. Il principio dettato nella sentenza in commento

Nel caso che ci occupa il sequestro era stato disposto su cosa pertinente al reato, ovvero sul mezzo con cui lo stesso è stato realizzato e quindi per evitare che la libera disponibilità dell'azienda, dei conti correnti e di tutto il patrimonio, potesse agevolare la commissione di ulteriori reati di frode ai danni dell'UE.

La Corte di Cassazione in applicazione dei principi sopra esposti ha ribadito con la sentenza in commento, che "con riferimento al sequestro preventivo il canone di proporzionalità impone al giudice di modulare il vincolo in modo che lo stesso, pur conforme agli scopi previsti dal legislatore, non determini un'esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica dell'ente attinto dal vincolo reale, eccedendo quanto strettamente necessario rispetto al fine perseguito".

La finalità di garantire l'effettiva esecuzione di una decisione pronunciata all'esito del giudizio di merito "non deve infatti eccedere quanto strettamente necessario rispetto al fine perseguito e deve, dunque, essere realizzata in forme che si rivelino adeguate alla tutela di altri diritti di rilievo costituzionale meritevoli di protezione e il cui esercizio non pregiudichi le esigenze cautelari perseguite".

Di conseguenza, il giudice all'atto dell'adozione della misura cautelare reale e nella sua successiva dinamica esecutiva, deve evitare che il vincolo reale, eccedendo le proprie finalità ed esorbitando dall'alveo dei propri effetti tipici, si risolva in una sostanziale eccessivo sacrificio dei diritti fondamentali della parte. Non solo. La sentenza in commento compie un passaggio ulteriore, spingendosi fino ad affermare – in modo del tutto condivisibile – che il principio di proporzionalità non opera esclusivamente quale limite alla discrezionalità giudiziale nella fase genetica della misura cautelare, ma impone al giudice, lungo tutta la fase della sua efficacia, di graduare e modellare il contenuto del vincolo imposto, anche in relazione alle sopravvenienze che possono intervenire, affinché lo stesso non comporti restrizioni più incisive dei diritti fondamentali rispetto a quelli strettamente funzionali a tutelare le esigenze cautelari da soddisfare nel caso di specie.

Ciò comporta che il Giudice deve revocare la misura se nel corso del procedimento le esigenze cautelari appaio affievolite ovvero risultino comunque sproporzionate. Del resto è stato precisato che "il sequestro preventivo deve essere revocato quando non sussistono più i presupposti che ne giustificano l'adozione, anche alla luce del principio di proporzionalità".

Questi peraltro i principi che hanno determinato i Giudici di legittimità ad annullare l'ordinanza del Tribunale di Messina. Secondo la Corte di Cassazione "non è chiaro infatti perché, a fronte della necessità di inibire l'attività di impresa della società al fine di impedire 'nuove occasioni di reato', sia stato ritenuto necessario e conforme al principio di proporzionalità - nel senso appena declinato – sequestrare i conti correnti e ogni altra componente patrimoniale riferibile alla stessa società, della quale, peraltro, non dato sapere alcunché".

6. Il principio di proporzionalità nell'ambito del D.Lgs. 231/2001

Occorre sottolineare che la difesa della Società, nel ricorso per Cassazione, aveva censurato con un primo motivo l'illegittimità della richiesta della misura cautelare, posto che il Pubblico Ministero non aveva mai chiesto l'applicazione della misura nei confronti dell'ente ma solo nei confronti del legale rappresentante della Società. Di conseguenza, il provvedimento del Tribunale di Messina che disponeva la misura nei confronti della Società era abnorme e doveva essere annullato.

Tale censura, lo si precisa, è stata ritenuta infondata dalla Corte di Cassazione in quanto il vincolo "su cosa pertinente al reato" è stato apposto ai sensi dell'art. 321, comma 1 c.p.p. e non ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

Tuttavia, appare opportuno evidenziare come il principio di proporzionalità sia stato ampiamente applicato dalla giurisprudenza anche in materia di sequestro ex art. 19 D.Lgs. 231/2001 e ciò a riprova dell'attenzione che la giurisprudenza presta (e deve prestare) nei confronti dell'attività (lecita) d'impresa, necessaria al rispetto del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica nonché al mantenimento di posti di lavoro.

Ebbene, come noto, infatti il D.Lgs. 231/2001 disciplina i provvedimenti ablativi del sequestro e della confisca applicabili all'Ente. L'art. 19 D.Lgs. 231/2001 stabilisce che "Nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato... Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato". Mentre, l'art. 53 D.Lgs. 231/2001, disciplina il sequestro preventivo "Il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell'articolo 19...".

È di certo significativo che la giurisprudenza si sia pronunciata in termini univoci in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca (artt. 53 e 19 D.Lgs. 231/2001) disposto nei confronti di un ente imputato ex art. D.Lgs. 231/2001, stabilendo nella nota sentenza c.d. "Eliade" (n. 36959 del 24.06.2021) che l'obbligo motivazionale in merito alla sussistenza del periculum in mora risulta ancor più necessario lì dove, come nel caso di specie, il sequestro sia emesso nei confronti di una società contro cui si procede per la responsabilità amministrativa da reato.

In effetti, nel sistema delineato dal D.Lgs. 231/2001, la confisca è espressamente qualificata come sanzione (ai sensi degli artt. 9 lett. c) e 19), con la conseguenza che "il sequestro finalizzato alla confisca si traduce in una vera e propria anticipazione del trattamento sanzionatorio, prima ancora che si pervenga all'accertamento definitivo della responsabilità dell'ente". A questo riguardo è importante considerare che nel regime della responsabilità degli enti la confisca, e il sequestro ad essa finalizzato, possono assumere "una tale incidenza da produrre effetti irreversibili rispetto alla sopravvivenza stessa dell'ente, come avviene nel caso in cui il vincolo cautelare venga apposto su risorse patrimoniali talmente ingenti da determinare la sostanziale impossibilità della prosecuzione dell'attività aziendale". A maggior ragione se il sequestro ricade direttamente sul "compendio aziendale", con l'apprensione di beni strumentali alla prosecuzione dell'impresa, ed il rischio di arrecare un definitivo pregiudizio alla continuità aziendale della stessa e di realizzare, indirettamente, lo stesso effetto provocato dalle ben più gravi misure cautelari interdittive.

È per tali ragioni, conclude la Corte, che "l'incidenza del sequestro finalizzato alla confisca, proprio in considerazione della peculiarità della responsabilità ex D.Lgs. n.231 del 2001 e della sua tendenziale applicazione rispetto ad attività imprenditoriali, è tale da richiedere garanzie rafforzate e non certo inferiori rispetto a quanto previsto in generale per il sequestro preventivo ex art. 321 cod. proc. pen.", [...] "sicché non vi è ragione alcuna per ritenere che il decreto di sequestro, adottato ai sensi dell'art. 53, D.Lgs. n. 231 del 2001, non debba contenere la sia pur sintetica motivazione in ordine alle esigenze cautelari che il sequestro mira a tutelare".

Si tratta di principi ribaditi anche di recente laddove si è affermato che "il decreto di sequestro preventivo finalizzato richiede una specifica motivazione in ordine alle ragioni per le quali i beni suscettibili di apprensione potrebbero, nelle more del giudizio, essere modificati, dispersi, deteriorati, utilizzati o alienati...".

È evidente dunque che il vincolo ablativo disposto nei confronti dell'ente può determinare conseguenze economiche e sociali disastrosi per l'attività di impresa. Conseguenze che, del tutto condivisibilmente, la giurisprudenza intende scongiurare. Anche in ambito di applicazione del D.Lgs 231/2001, è quindi riconosciuto come la tutela dell'attività economica lecita e dei posti di lavoro imponga di calibrare con attenzione l'intervento ablativo, eventualmente ricorrendo a strumenti alternativi quali il commissariamento giudiziale, la limitazione del sequestro ad alcune componenti aziendali, o l'adozione di prescrizioni volte a garantire la continuità operativa - con i rischi, ovviamente, che anche siffatte misure comportano.

7. Le Sezioni Unite della Cassazione sul profitto diretto

Appare doveroso riportare seppur in termini sintetici anche un arresto recentissimo delle Sezioni Unite, che seppur riguardante un tema affine a quello oggetto del presente commento, permette di cogliere e apprezzare l'orientamento della giurisprudenza finalizzata - evidentemente - a tutelare l'attività di impresa e a bilanciare in modo corretto le diverse esigenze ed interessi in gioco.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, infatti, statuito che "la confisca di somme di danaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene. La confisca è, invece, qualificabile per equivalente in tutti i casi in cui non sussiste il predetto nesso di derivazione causale" (Cass. Pen., Sezioni Unite, sentenza n. 13783/2025).

Invero, già negli anni passati si era precisato che il denaro depositato presso i conti correnti bancari intestati alla società non costituisce "un'unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, confiscabile solo se ricorrono i presupposti per la confisca per equivalente" (Cass. pen., Sez. II, n. 11086/22). Ciò consente in buona sostanza di preservare l'attività lecita della società e le risorse con questa ottenute.

8. Conclusioni

Sebbene il principio di proporzionalità sia stato come analizzato oggetto di numerose pronunce che ne hanno riconosciuto la portata applicativa anche alle misure cautelari reali, purtroppo la prassi giurisprudenziale mostra come tale principio non sia sempre applicato nella pratica.

In varie occasioni, infatti, le misure ablative vengono disposte in maniera automatica o generalizzata, senza un'adeguata motivazione in ordine al rapporto tra il bene vincolato e l'interesse pubblico perseguito. Il sequestro preventivo molto spesso appare motivato dalla volontà di punire e reprimere rapidamente pratiche scorrette, in via anticipata, immediata. I provvedimenti in tali casi si esauriscono in poche argomentazioni che non considerano la Società come ente separato e autonomo ma come "mezzo" con cui si è perpetrato il reato e che per tale ragione deve essere sottoposta a sanzione.

Tale conclusione invero sconta un errore concettuale di fondo, non considerando che al di là delle imprese intrinsecamente criminose, che nascono e vivono per il compimento di attività illecite la maggior parte dei sequestri preventivi impeditivi hanno ad oggetto realtà societarie pienamente funzionanti, che svolgono attività lecita, con personale dipendente correttamente assunto. Tali enti sono e devono essere considerati terzi rispetto alle condotte eventualmente illecite poste in essere dalle persone fisiche, ed hanno diritto alla sopravvivenza (peraltro prima di una sentenza definitiva di condanna).

Nei confronti di tali imprese, allora, il vincolo deve essere disposto solo in modo equilibrato e proporzionato, evitando che effetti paradossali o comunque eccessivi, come l'adozione di sequestri sulla totalità dei beni o anche solo su una parte di beni estranei al reato, strumentali alla prosecuzione dell'attività lecita o di valore enormemente superiore al profitto del reato.

In tali contesti il principio di proporzionalità impone al giudice una valutazione approfondita, precisa e motivata, che tenga conto non solo della gravità del fatto e dell'entità del profitto, ma anche delle ricadute concrete della misura sulla vita e sui diritti del destinatario. In questa prospettiva, nella motivazione non è sufficiente richiamare astrattamente la finalità della misura, ma occorre esplicitare adeguatamente le ragioni per cui essa sia necessaria proprio in quel caso specifico, e perché non siano praticabili alternative meno invasive. Ciò vale anche per tutta la permanenza della misura, posto che il vincolo deve essere oggetto di costante verifica in rapporto al permanere delle esigenze cautelari.

In conclusione, il principio di proporzionalità rappresenta una clausola generale di legittimità delle misure cautelari reali, destinata a orientare l'attività dell'autorità giudiziaria non solo nella fase genetica, ma anche in quella esecutiva. La sua applicazione costituisce un presidio fondamentale contro gli abusi e le distorsioni dello strumento cautelare, e una garanzia imprescindibile per la tutela dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti nel processo penale. Ciò è dovuto ad un necessario bilanciamento tra gli interessi (costituzionali) in gioco: non può infatti dimenticarsi che l'art. 27 Costituzione stabilisce il principio di presunzione di innocenza e che l'art. 41 Cost. tutela l'iniziativa economica privata.

Ciò comporta che nell'applicazione di misura ablative nei confronti di attività di impresa deve necessariamente svolgersi un bilanciamento di tutti gli interessi e i beni giuridici coinvolti. Non debbono e non possono quindi prevalere tout court le esigenze cautelari del processo penale sull'iniziativa economica, tenendo conto che a volte i sequestri preventivi vengono irrogati nel corso delle indagini preliminari, dove vi sono soltanto capi provvisori di incolpazione. Con ciò applicando una sanzione anticipata sproporzionata, che all'esito finale del procedimento potrebbe invece essere esclusa, ma con l'impresa purtroppo distrutta dagli effetti della misura cautelare.


Avvocato Rossana Lugli



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